Romilda Del Pra, la donna della Val Codera.
Romilda ha appena passato i 20 anni quando inizia la seconda guerra mondiale. È cresciuta in una famiglia povera e numerosa ascoltando i racconti di quelle madri che i figli li avevano persi in quella guerra e ora temono per quelli nati dopo. Inizia da bambina a lavorare nei campi, sui monti, a portare la gerla, a svolgere lavori pesanti “da maschi”. Ama leggere, è innamorata della natura della sua valle, vorrebbe tanto studiare ma non può permetterselo. Negli anni, però, con tenacia, orgoglio, tante letture, da autodidatta, si forma una solida cultura che le permette di partecipare alla vita politica e sociale locale. La Val Codera è il suo luogo dell’anima, oltre che di lavoro e fatica ed qui che, fin da ragazza va ad arrampicare sulle sue palestre naturali, in solitudine. Nella sua formazione è decisivo l’incontro e la frequentazione con “Le Aquile Randagie” un gruppo clandestino di Scout di Milano, Monza e Parma che, durante il periodo fascista, proprio in Val Codera svolgevano le loro attività. Gruppo clandestino perché già nel ’27 il governo fascista aveva sciolto il gruppo Scout incorporandolo nei Balilla e costringendo il Papa, successivamente, a sciogliere l’associazione Scout cattolica. La guerra, dura per tutti, lo è anche per la sua famiglia: la vecchia madre vedova, il marito di una sorella prigioniero, un fratello partito per la Russia nel 42 e mai ritornato. Lei sceglie da che parte stare e nel suo diario scrive: “Ho avuto la possibilità di avvicinare tanto le fiamme verdi che le Brigate Garibaldi che operavano al comando di Tiberio…alle volte venivano e mi consegnavano un biglietto con un timbro con la testa di Garibaldi e con quello scendevo giù in paese a prendere zucchero o carne e lo portavo su…”. A fine novembre ’44, in una notte di plenilunio, quando torna a casa vi trova il dottor Giumelli (Camillo) e il comandante Nicola. Le chiedono di scendere a Novate dove raccoglie trenta chili di roba e mentre risale l’erta mulattiera che la riporta in valle si trova in mezzo a un conflitto a fuoco tra repubblichini e partigiani che la lascia indenne con il suo prezioso carico. È dell’inizio del dicembre ’44 l’offensiva fascista per eliminare i partigiani dalla Val Codera. Romilda descrive i fatti nel suo diario conservato nel “fondo Porchera” dell’ISSREC (Istituto Sondriese per la storia della Resistenza e dell'Età contemporanea)e vede e vive tutta la distruzione delle povere case e dei beni. Spesso accompagna persone di cui, a volte non sa nemmeno il nome, lungo la Valle fino alla bocchetta della Teggiola da dove si può riparare in Svizzera. Altre volte va in missione a Milano a recapitare lettere per il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). Gli eventi della guerra e la lotta civile hanno reso adulti quelli della mia generazione senza che fossero stati giovani, scrive. Dal volume “Voci…Contrasti” poesie e pensieri di Romilda Del Pra trascriviamo la poesia “Al Rifugio Brasca” scritta da Romilda nell’aprile 1945 dopo le incursioni dei nazifascisti.
Al Rifugio Brasca
Aprile 1945
Rifugio alpin, ricordi il dì passato?
Lontana era la stagion ridente;
t’adagiavi su un tappeto immacolato
aspettando il ritorno della gente.
Dormivi il tuo sonno indisturbato
in mezzo a questo cerchio di montagne;
lontano, nel mondo insanguinato
la guerra mieteva vite umane.
Ma fosti bruscamente un dì svegliato
da un’ora che guidata dal furore
sconvolse tutta la vallata
lasciando sui suoi passi lo squallore.
Ed io ti trovai una triste sera,
le mura annerite volte al cielo
tra i resti contorti di lamiera
e le finestre tutte aperte al gelo.
Passò l’inverno, venne primavera
natura risorgeva a nuova vita
ma per la Val Codera
profonda era ancora la ferita.