Può definirsi democratico un sistema in cui pochi detengono la ricchezza a scapito della popolazione?
Quando si pensa alla democrazia, in genere si allude soprattutto alla sua dimensione politica, alla sua forma strutturale di governo e gestione di una comunità. In questa particolare fase storica poi, l’analisi delle tante criticità di questa forma di governo sembra focalizzarsi soprattutto su alcuni aspetti legati principalmente al rapporto tra elettori ed eletti; perciò un’attenzione rivolta alla dimensione parlamentare della democrazia.
In verità la profonda e drammatica crisi economica e finanziaria, che vede coinvolto il panorama globale, consiglia di scandagliare anche tanti altri aspetti dell’universo democrazia, primo fra tutti proprio il profilo economico, oggi più che mai investito da pericolose burrasche, i cui effetti finiscono per toccare non solo le Nazioni più deboli ma anche quelle più forti.
Il fatto stesso che spesso siano proprio le democrazie più consolidate a ritrovarsi in balia di pesanti fluttuazioni economiche conferma l’importanza di una domanda urgente e gravosa: può definirsi sistema democratico una realtà nella quale pochi, pochissimi detengono la ricchezza a scapito della maggioranza della popolazione? E tornando alla concezione giuridico politica, può definirsi sistema democratico una realtà nella quale pochi, pochissimi detengono il potere a scapito della maggioranza della popolazione?
La democrazia è, anzitutto, con un termine moderno, partecipativa, e anticamente, esprimeva l’autogoverno e l’affermazione della responsabilità collettiva della città: la piazza (intesa come agorà), la cattedrale, il palazzo del governo, il palazzo dei mercanti e delle corporazioni di arti e mestieri (organizzazione del lavoro manifatturiero), il mercato (luogo delle contrattazioni e degli scambi), i palazzi dei ricchi borghesi, i conventi degli Ordini religiosi dislocati per lo più ad anello dentro le mura ed, infine, le Chiese dove avevano sede anche le Confraternite.
Attraverso questi luoghi concreti si coltivavano le virtù civiche, che definivano la società propriamente civile, le cui principali caratteristiche erano: la fiducia reciproca, la sussidiarietà, la solidarietà, la fraternità, il rispetto delle idee altrui, la competizione di tipo cooperativo.
In termini più costituzionalistici, il principio democratico, espresso anche nell’art., co. 1, Cost., che recita “L’Italia è una Repubblica democratica”, è considerato quello più comprensivo, perché, come afferma Mortati, riassume e “racchiude in sé, in germe, gli altri” principi, quello personalista, pluralista e lavorista, di cui i principi di uguaglianza e autonomistico (di laicità, internazionalistico e pacifista) sono sviluppi e specificazioni, fondamenti delle Costituzioni democratiche.
La democrazia contiene in sé tutto ciò che riguarda la vita comunitaria.
Nella ricompattazione di un popolo – di estrema urgenza – è imprescindibile che amministratori e politici non si fossilizzino nell’occupazione del potere unicamente per mantenerlo a proprio vantaggio, non preoccupandosi di avviare processi di riforme e politiche a servizio del bene comune. Ma è pure necessario che, a fronte di una grave crisi in cui tutti sono coinvolti, i vari soggetti sociali non si fermino a guardare i propri mali, rinchiudendosi in se stessi, non tenendo conto dei problemi altrui, specie dei più poveri e di quelli che hanno perso il lavoro.
Ritenere di poter superare le difficoltà singolarmente, aumentando il disinteresse nei confronti di chi soffre e dei più deboli, nonché dei giovani, è un’illusione. Ci si salva insieme.
Pertanto, si può uscire dalla crisi andando oltre l’attuale situazione che vede la società frammentata e contrapposta nei suoi scomparti: considerandosi parte gli uni degli altri, unificando le molteplici energie nascoste o sopite, divenendo popolo, ossia una moltitudine moralmente convergente, che libera le sue potenzialità di solidarietà e di collaborazione.
La sussidiarietà si fonda su un’antropologia specifica, scaturendo dall’incontro di una filosofia dell’azione umana con una precisa individuazione del bene comune. Tale filosofia si sviluppa con il pensiero cristiano, con cui si consacra l’idea di persona come soggetto autonomo, che nessun potere può usare come mezzo, perché l’uomo si realizza quando è chiamato a contribuire personalmente al bene comune.
L’impianto personalistico, su cui si fonda la sussidiarietà, comporta la collocazione equilibrata dello Stato all’interno del ricco e plurale panorama delle articolazioni che si rapportano con la persona. L’essere umano si definisce più per quello che fa che per quello che riceve o possiede, e perciò, all’interno della Società, occorre far di tutto per non privare la persona del suo diritto di azione.
La persona, fine ultimo della Società e dello Stato, si determina come un essere sociale, in cui il naturale egoismo si accompagna al bisogno altrettanto naturale di solidarietà nell’ambito della convivenza sociale volta al bene comune.
Il principio di sussidiarietà, all’interno della Costituzione italiana, fornisce le chiavi di lettura del rapporto tra ordinamento giuridico e Società. L’individuo è considerato responsabile del proprio destino e capace di farsene carico. Il bene comune esprime l’esigenza di una certa redistribuzione dei beni, affinché coloro che sono meno favoriti conservino la loro dignità esistenziale a dispetto della loro incapacità, temporanea o meno, di occuparsi di se stessi.
Quello che emerge diffusamente nel mondo è una ribellione ad una sovrastruttura istituzionale a favore di un dibattito politico dai tratti assolutamente compartecipativi e collettivi, elemento originario della democrazia.
Papa Francesco si spende a proposito di una democrazia a più alta intensità, più sociale e partecipativa, inclusiva, richiedendo per tutti, terra, casa, lavoro, istruzione, assistenza sanitaria, un sistema penale non meramente punitivo o asservito ai potenti di turno, assieme a politiche economiche facenti leva sulla dignità e sul bene comune, a riforme dei sistemi finanziari, all’attuazione di una sana economia mondiale, al superamento di quelle teorie neoliberistiche che assolutizzano l’autonomia dell’economia e della finanza rispetto al bene comune e alla politica.
La democrazia non è definita solo dal metodo di votazione a maggioranza; al contrario, può essere un processo di delibera collettiva basato sul principio dell’equa e piena partecipazione. in ossequio al primato del tempo sullo spazio.
Della globalizzazione dell’indifferenza, senza regole e senza etica, che ha in sé temi come la tutela e la promozione dei diritti umani, la governabilità del mondo, il rapporto tra globale e locale e, in prospettiva, il bene comune universale, la sfida della democrazia poliedrica ha in sé tutto.
Papa Francesco sostiene la riproposizione di una democrazia economica che è essenziale per quella politica.
Il tempo è superiore allo spazio è il principio che permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. È proprio nell’era globale che l’attività socio-politica deve privilegiare i tempi dei processi, a discapito degli spazi di potere. Divengono ora prioritarie le azioni che generano nuovi dinamismi e maggiori coinvolgimenti nelle comunità, portando, con costanza e determinazione, al rinnovamento sociale a livello globale.
Il fine è quello di una forma di democrazia più giusta, che sappia rispondere alle gravi e profonde diseguaglianze oggi da tutti riscontrabili e che suonano come stridenti rispetto a quegli obiettivi che un sistema democratico deve, in quanto tale, perseguire.
Il coraggio e la spinta del Santo Padre ci porta ad interpretare il cambiamento dei tempi, e in particolare ci porta al tempo delle riforme. Risulta necessario modificare le stagnazioni istituzionali, perché la cattiva abitudine di depauperare il tempo e di occupare gli spazi politici venga sostituita dalla virtuosa ricerca di riforme che vadano nella direzione del bene comune rendendo più spediti, semplici, inclusivi, i processi democratici.
È necessario sviluppare una creatività democratica, ossia elaborare differenti modalità decisionali per regolare questioni comuni, affrancandosi da un’autorità preesistente e predominante, in ossequio al primato della poliedricità sull’uniformità.