La vita degli anziani costa troppo.

Pubblichiamo, tratto dal Notiziario della Banca Popolare di Sondrio questo articolo di Ferdinando Camon, scrittore e giornalista che con crudezza ci richiama a pensare su chi decide e controlla la nostra vita: noi stessi? la volontà di Dio per i credenti? la Natura? la Ricerca? o l’economia? 

La sopravvivenza del più forte. Tema quanto mai presente di questi tempi in cui di tutto si parla fuorché di questi aspetti come se i cosiddetti “valori non negoziabili “ fossero d’un tratto evaporati.

 

“Anche la Svezia ci ha dato la sua lezione sul valore della vita.

“Valore” in senso economico: c’è un’epidemia in giro, il contagio si diffonde, curare i contagiati costa, perché bisogna aiutarli a respirare e i respiratori artificiali sono pochi, hanno un prezzo alto a comprarli e un costo alto a usarli. 

Ogni Stato, quando deve risparmiare, risparmia anzitutto sulla sanità sperando che i cittadini non se ne accorgano.

E non se ne accorgono infatti, finché la situazione resta ferma; il problema irrompe se bisogna fare un uso massiccio di certi farmaci, dei mezzi di ricovero, dei letti, degli infermieri, dei respiratori.

Se scarseggiano i letti, gli infermieri, i respiratori, i posti di ricovero bisogna scegliere i malati: alcuni possono essere ricoverati e curati, altri no.

È la selezione tra chi far vivere e chi lasciare morire.

Io - non medico - non credevo che la medicina si sarebbe spinta fino a questo limite; sono cresciuto e ho vissuto in un tempo in cui il compito della medicina era uno solo: salvare sempre, curare sempre, anche gli inguaribili, perché ogni morte era per il medico una sconfitta.

Il dottore della Peste di Camus lavora anche sui casi disperati.

Nei film di guerra vedevamo i medici praticare il massaggio cardiaco anche dopo che il cuore si era fermato.

Adesso siamo entrati in un tempo in cui si decide a priori chi curare e chi no, si fa una selezione e fra tutti i criteri che abbiamo incontrato nella storia se ne affaccia uno nuovo, imprevisto, inaccettabile: l’età.

In Svezia, la prima decisione adottata quest’anno, se scarseggiano i posti in terapia intensiva, è quella di escludere, in primo luogo le persone oltre gli 80 anni, in secondo luogo quelle oltre i 70 che abbiano qualche problema a un organo e in terzo luogo oltre i 60 con problemi a più di un organo.

In Italia le prime norme risalgono al 6 marzo 2020 e imponevano soprattutto il limite di età, per riservare le cure a chi ha più probabilità di sopravvivenza.

A chi, come me, criticava quella direttiva come non-etica, si rispondeva che è la stessa etica dei trapianti.

Anche i trapianti vengono riservati ai più giovani.

Ci ho ragionato a lungo.

E sono arrivato alla conclusione che è un paragone ingannevole.

Gli organi da trapiantare sono pochi perché vengono prelevati da vittime di incidenti mortali e ringraziamo il Cielo se queste vittime sono rare, mentre le macchine usate nelle terapia intensiva sono poche perché non si vuole comprarne di più.

In Francia il problema di come selezionare i malati da salvare e quelli da lasciar perdere ha raggiunto la formulazione più chiara e si sente che ci ha lavorato un pool di cervelli lucidi. 

Il 17 marzo emanavano delle norme in cui imponevano di tenere conto di 4 fattori: età, altre malattie, stato cognitivo, ambiente sociale.

Il giornale cattolico da cui prendo la notizia dopo “ambiente sociale” aggiunge “qualsiasi cosa questo voglia dire”.

Io avrei fatto quell’aggiunta anche dopo “stato cognitivo”: che vuol dire che lasci morire i non-intelligenti? 

Una vita è vivibile in proporzione a quanto si capisce?

In Francia si raccomanda questa distinzione: non ammettere pazienti la cui morte è “inevitabile”, dare la priorità a pazienti la cui morte è “inaccettabile”, “lasciar andare” i pazienti la cui morte è “accettabile” per vecchiaia, altre patologie, demenza.

È quell’accettabile il termine più terribile. Mi turba.

In Spagna il 18 marzo uscivano norme che imponevano l’attenzione alla previdenza di vita futura del malato, che doveva superare i due anni altrimenti non si sprechino cure, ma in Spagna si invitava a “tenere conto del valore sociale della persona malata, e questa è una clausola dal sapore di casta.

Anche lo Stato di Washington invita a risparmiare le cure a chi “ha scarse riserve di energie, capacità fisiche e cognitive” e lo Stato dell’Alabama  riattualizza criteri emanati il 9 aprile 2010, in cui escludeva dalla ventilazione le persone affette da “severo ritardo mentale, demenza da moderata a grave e i bambini con gravi problemi neurologici”.

Sto seguendo la ricerca della presidente dell’associazione “Laudato Si”, le frasi virgolettate sono sue.

Mi permetto un commento: sembrano condizioni di resa alla Natura, invece sono condizioni di resa all’economia.

Non è che la cura è difficile e non abbiamo scienza, quindi ci arrendiamo.

È che la cura è costosa e non vogliamo spendere soldi, quindi abbandonando le vite risparmiamo.

Lasciar morire è economico, quindi etico.

Su un giornale un sopravvissuto al virus ricorda quando fu il momento in cui doveva morire e non è morto, perché un altro è morto al posto suo. Lui racconta che era ricoverato in un ospedale civile, erano in 30 in un reparto anti Covid che in realtà era nato come lavanderia poi trasformato per necessità quando si diffuse il virus.

Respiravano tutti a fatica senza bombole di ossigeno perché ce ne erano tre e loro erano in trenta. 

Accanto a lui c’era un ottantenne che dormiva su un fianco e respirava bene perché era collegato a una bombola tutta sua; poi arriva l’infermiera stacca il collegamento all’ottantenne, sposta la bombola e la collega al nostro paziente che immediatamente si sente rinascere. 

Lui adesso dice che gli capita spesso di pensare a quell’anziano, piange e prega per lui. 

Non sappiamo se le cose sono andate veramente così, i medici non lo confermano ma su questi “abbandoni degli anziani” ci sono medici che contraddicono altri medici. 

Stando al racconto nessuno ha chiesto a quel vecchio se accettava di morire, lo hanno fatto morire e basta. 

Lo hanno fatto morire deliberatamente, di una morte lunga e dolorosa, con i polmoni assetati di ossigeno, con l’intestino infuocato, col bisogno impellente di andare spesso in bagno ma nel l’impossibilità di scendere dal letto: se la morte è un mostro gliel’hanno abbandonato tra le braccia e se ne sono andati. 

Hanno applicato il principio: “lo vuole la Natura, noi non c’entriamo”.

Con tutta la comprensione per gli infermieri che fanno più di quello che possono, dentro di me c’è qualcosa che definisce quella morte come una condanna spietata. 

Sarebbe più pietosa la morte inflitta dal medico che, per sottrarre l’ossigeno a un ottantenne che lo sta respirando, prima gli spara in testa. 

Pietosa e rapida e anche economica. 

Se continua così ci arriveremo”.

Redazione