Don Giovanni Gatti parroco di Caspoggio e guida del movimento cattolico valtellinese

A cinque anni dalla sua morte avvenuta nel 1947 – si tenne a Caspoggio una solenne cerimonia in suo ricordo di cui dà ampio resoconto il Corriere della Valtellina del 20 settmbre 1952. Proponiamo la commemorazione che fece Ezio Vanoni, allora Ministro delle Finanze, in quell'occasione.

 

A cinque anni dalla sua morte il suo ricordo è ancora vivo; è giusto quindi che tutti coloro che furono testimoni d’un lavoro assiduo, generoso, intelligente di tanti anni e che ne furono direttamente o indirettamente beneficiati, lo ricordino, lo riconoscano e lo portino ad esempio ai giovani che sono venuti dopo, ai giovani d’oggi, per dir loro coraggio, coraggio e avanti. Don Giovanni Gatti venne a Caspoggio come Coadiutore nel lontano 1907 e nel 1910 diventò parroco, considerato sempre come uno dei migliori elementi del clero comense. Ebbe lucido il pensiero, limpido il discorso, tenace la memoria; riuscì conferenziere convincente e desiderato quando negli anni 1921-22-23, dall’autorità diocesana fu messo a capo del movimento Cattolico in Valtellina. Ma se la Valtellina tutta deve a Don Gatti un vivo tributo di riconoscenza, Caspoggio in particolare gli è debitrice di filiale affetto e gratitudine imperitura. Appena giunto in Parrocchia eresse l’oratorio, il primo in Valtellina, perché servisse per le opere parrocchiali. Fondò, primo in Diocesi, la Congregazione per la dottrina cristiana che raccolse in dieci classi tutti i ragazzi della parrocchia, affidandone l’insegnamento ad abili catechisti da lui stesso con sacrificio e pazienza formati. Istituì anche una scelta biblioteca religiosa e popolare circolante, per la cultura del popolo. Tutti i parrocchiani, non più giovani, sanno che il suo patrimonio (Fondò la casa “Pane dei Poveri”) era diviso con i poveri. Tutti ricordano la sua attività per l’Azione Cattolica fondata in parrocchia con i circoli maschili e femminili, nei quali trattava argomenti di apologetica, di sociologia e di morale. Fu cappellano militare durante la guerra 1915 - 1918 e anche in quel doloroso periodo continuò sempre con l’esempio e con gli scritti, con la parola, nelle brevi licenze ad animare i suoi parrocchiani all’adempimento del dovere e a confortare le famiglie. Fu congedato nel 1917 in seguito a malattia ed operazione gravissima che gli dava diritto alla pensione alla quale rinunciò. Lavorò per la corrispondenza ai soldati, l’aiuto ai prigionieri, la ricerca dei dispersi, il conforto e l’assistenza alle famiglie più bisognose. Finita la guerra curò l’erezione del Monumento ai Caduti e fece erigere una delle prime chiesette alpine ai piedi del Pizzo Scalino dedicandola alla Madonna della Pace. Iniziò la costruzione dell’asilo infantile, fondò il patronato scolastico e una cooperativa di consumo. Pur non occupandosi di politica, impedì l’attecchire delle false dottrine bolseviche e si interessò appassionatamente di un problema che già allora faceva vibrare tante anime; quello della Democrazia Cristiana. Ciò avveniva prima del 1923. Allora i preti che vivevano per il popolo, in mezzo al popolo, erano considerati degli antifascisti, degli antipatrioti e Don Gatti, reo soltanto di aver fatto un gran bene religioso e sociale alla sua popolazione, fu perseguitato, imprigionato e costretto, per aver salva la vita, a lasciare la sua parrocchia e rifugiarsi in Svizzera dove insegnò per oltre vent’anni nel collegio Soave di Bellinzona. I suoi numerosi discepoli, sparsi nel Canton Ticino e altrove, rendono testimonianza del suo valore didattico. Da oltre confine forniva sempre ai suoi parrocchiani, parole di conforto, di speranza, di incitamento ad amare anche i persecutori, a rendere bene per il male, a sopportare fortemente e serenamente, a sperare, nonostante ogni apparenza contraria, nel trionfo del bene. Rinata la libertà, dopo la caduta del regime fascista, Don Gatti poté ritornare in Patria e il popolo di Caspoggio lo accolse festante. Ma la sua salute era minata da un male incurabile e il 18 Agosto 1947 cessò di vivere, a Mandello del Lario, nella sua casa nativa. Ora anche noi possiamo dire che i nostri martiri si sono immolati per l’affermazione della dignità umana e la libertà degli Italiani e non ci sentiamo indegni di questo retaggio. Queste ricorrenze, se pur soffuse di mestizia, devono significare un punto di partenza per l’avvenire. 

Redazione