Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.

In questi giorni ricordiamo il centenario della nascita di Primo Levi (Torino 31 luglio 1919). Lo ricordiamo soprattutto per essere stato lo scrittore, protagonista e testimone di Auschwitz, il narratore che visse e raccontò l’Olocausto come la discesa agli inferi, la sofferenza umana per la quale manca ogni risposta. Nel suo romanzo più conosciuto, scritto subito dopo il ritorno dal lager "Se questo è un uomo" racconta la "non vita" dei "non uomini", di una umanità varia e disperata che tenta in tutti i modi di sopravvivere alla fame, al freddo, al duro lavoro, alle selezioni per le camere a gas. Accanto ai temi inevitabilmente legati al momento storico come l’Olocausto, la deportazione, la solitudine, l’inferno quotidiano, l’obiettivo dei nazisti di privare i prigionieri dell’anima per ridurli come bestie, Levi tratta anche temi che acquistano un valore di messaggio universale: l’invito a ricordare, la violenza gratuita dell’uomo sull’uomo, le aberrazioni della storia, il dovere di tramandare la memoria storica. Lo facciamo con la poesia con la quale si apre l’opera: 

Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
 
"Auschwitz è fuori di noi ma è intorno a noi. La peste si è spenta ma l’infezione serpeggia"

 

 

 

 

 

Redazione