A Giorgio

Ricordare Giorgio Scaramellini richiama alla memoria, inevitabilmente, l’epoca in cui ha svolto il suo servizio civile e politico, i rapporti con il suo tempo, le influenze subite. 

Erano gli anni di quel turbolento ma ricco e creativo trentennio, dalla metà degli anni cinquanta alla metà degli anni ottanta, in cui la Democrazia Cristiana, nel Paese ma soprattutto in provincia, interpretava e gestiva la governabilità, intesa non come mito, ma come sforzo per raccogliere il maggior consenso popolare possibile, non contro ma dentro il quadro istituzionale dei partiti del tempo. 

Consenso, che in provincia è stato sempre maggioritario.

Scaramellini è stato esponente convinto della Democrazia Cristiana, aperto alla costante ricerca di un processo di rinnovamento, dove non fossero tanto i modelli o i principi ideali da aggiornare ma i nostri comportamenti, perché sono questi che creano scandalo quando non sono coerenti alla metodologia del potere come servizio, quando non sono strumento di un fine superiore e omogeneo all’interesse generale. 

La sua vita politica è stata, dunque, tutta dentro la D.C, al servizio, nel senso autentico del termine, della sua collettività, con un’azione che ha privilegiato l’aspetto pragmatico dei problemi, le scelte, i processi, le vie da seguire per giungere a soluzione, con modi miti, sostanziati di ascolto e di vantaggio verso la tessitura e la composizione dei rapporti umani. 

Non però pura pratica, non attività intrinsecamente dipendente o sussidiaria, anzi, consapevole (uno dei suoi termini prediletti) di dover comporre visioni e interessi diversi secondo principi cristianamente laici, puri da ogni retorica e fondati su una comune assunzione di responsabilità per superare un punto d’inerzia e dare avvio a qualcosa di nuovo e costruttivo.

 

Quanta competenza, quanta umiltà e amicizia mettesse nei rapporti umani era un aspetto così noto e connaturato che, a volte, gli veniva rimproverato, come se allora, e pare così anche oggi, queste qualità non fossero anche categorie della azione politica. 

Ma Giorgio era così. 

 

Si era iscritto alla D.C nel 1955, a 18 anni, diventando delegato del Movimento giovanile provinciale nel 1959 fino al 1963.

Movimento di cui rivendicava, sul Corriere della Valtellina, l’autonomia rispetto alle correnti interne, affermandone il ruolo di studio dei problemi e di diffusione tra i giovani.

Diventa membro del Comitato provinciale, a 26 anni, nel 1963 e dal 64 al 70 è eletto consigliere provinciale. 

Sarà vicepresidente nella Giunta Schena e assessore alla Pubblica Istruzione. 

A 33 anni, rieletto nel 1970, primo per preferenze tra i democratici cristiani, reggerà la presidenza dell’Amministrazione provinciale fino al 1975. 

Il decennio degli anni settanta sarà molto complesso sia sotto il profilo amministrativo che politico. Si è avviato un riordino generale dei poteri: nel 70 si sono tenute le prime elezioni regionali che vedono presidente della Regione Lombardia Piero Bassetti e segretario politico Giuseppe Guzzetti. 

Un riordino che suscita un intenso dibattito tra le forze politiche e di tale qualità intellettuale che, oso dire, non si sia più verificato in seguito. 

Nuove realtà devono essere affrontate e nuovi rapporti vanno ripensati tra gli enti storicamente esistenti e altri istituiti per dare impulso a realtà territoriali depresse per un reale riequilibrio economico e sociale.

Quali rapporti tra Regione e Provincia, tra Regione e le appena nate Comunità Montane, tra Provincia e Bim, tra Provincia e Comunità Montane, tra Comuni ed enti sovraordinati?

Problematiche amministrative calate nel cuore del difficile avvio della collaborazione con le forze politiche del centro sinistra e di un dilagante stato di insicurezza e di sangue provocato dal terrorismo che culminerà nell’assassinio di Aldo Moro nel 1978. 

Anni non facili che Giorgio attraversa ricoprendo importanti incarichi amministrativi e politici con impegno, studio e tanto lavoro.

 

L’ormai famoso congresso di Colorina del dicembre 1976 lo porta alla segreteria provinciale del partito. 

Scaramellini deve assumere in provincia atteggiamenti nuovi nei confronti delle pressanti realtà di quegli anni, consapevole di dover modificare la metodologia politica da “parente povero” verso la Regione dovuta, anche, all’obiettivo stato di inferiorità di unica zona montana, per attivare invece una “specie di autonomia” che sorge dalla situazione stessa.

Giorgio si dedica, inoltre, con particolare impegno all’Ospedale Psichiatrico, allora di gestione provinciale, alle organizzazioni dell’infanzia e ai problemi ecologici di cui intuisce l’importanza, istituendo e presiedendo una commissione antinquinamento.

Non si possono quantificare le ore impegnate nella lunga via crucis per la realizzazione della strada statale 36, per la formazione del consorzio trasporti pubblici e di quello per lo smaltimento dei rifiuti, per la salvezza degli stabilimenti Fossati.

 

La sua formazione cattolica lo porta ad occuparsi dei gruppi giovanili di Azione Cattolica e poi dell’Associazione dei maestri cattolici (AIMC).

Dotato di questo bagaglio si presenta, come candidato del Partito, alle elezioni politiche del giugno 1979 nella circoscrizione Como, Sondrio, Varese. Risulta il primo dei non eletti con uno scarto molto ridotto, una manciata di voti. Anche per lui si verifica quanto già accaduto tre anni prima per Giulio Spini, un notevole incremento di voti, nelle altre circoscrizioni, ottenuto dall’altro candidato del Partito. È certo e vero che l’esito del voto va riconosciuto e accettato. Meno vera e accettabile è la sacralità attribuita al numero, secondo la quale il popolo ha sempre ragione, pur nella sua variegata complessità. 

La sua, con altre vicende, lo mostrano quasi plasticamente. Giorgio ha continuato a “servire” prendendosi cura del Consorzio rifiuti Valtellina-Alto Lario per molti anni.

 

La sua figura e il suo lascito sono un esempio di come si possa fare politica rispettando la Persona e le persone. 

Non è poco e noi gli siamo grati.

Alfonsina Pizzatti