Siamo ancora qui

Lo scorso 3 gennaio il Corriere della Valtellina ha compiuto 120 anni di vita. Nato nel 1896 come organo del movimento cattolico valtellinese ha attraversato e spesso accompagnato tutte le temperie del 900. Se i primi anni di vita del Corriere rispecchiano e rappresentano la preparazione e il passaggio dall’opposizione intransigente allo stato liberale alla partecipazione politica, accompagnata dal graduale abbandono di un pacifismo assoluto, per approdare all’idea di guerra patriottica, tale infatti fu, in fondo, vista e vissuta la Prima Guerra Mondiale, all’indomani della vittoria, il giornale esprime un clima più duro, come se la guerra dalle trincee si fosse trasferita nella società. La reazione sociale dei Cattolici fu quella di una maggior partecipazione alla vita pubblica in senso politico e sindacale. Favorito anche dalla legge elettorale proporzionale, nasceva, infatti, nel gennaio del 1919 il Partito Popolare di cui il giornale divenne la voce. Ma i contrasti con il nascente movimento fascista si fecero via via più acuti e l’astiosa polemica verbale contro il Corriere della Valtellina, accompagnata anche da ripetute violenze fisiche, portarono alla sospensioni delle pubblicazioni. Era il 1926. Alla fine delle Seconda Guerra Mondiale, con la ricostituzione del tessuto democratico, i giornali riacquistarono una funzione centrale. Il Corriere della Valtellina riprese le pubblicazioni già nell’ottobre del 1945, come peraltro fecero le altre testate storiche del giornalismo valtellinese, sotto la direzione di Michele Melazzini che, a vario titolo, la tenne per 18 anni. Divenne dunque l’organo ufficiale della DC e, fino agli anni 90, ne ha espresso la storia, le vicende interne, in stretta corrispondenza con quella più generale dello sviluppo della Valle. Infatti, se gli interventi sul giornale, nell’immediato dopoguerra “erano in gran parte orientati a indagare i fondamenti ideologici dell’azione politico e sociale cristiana e dell’errore del comunismo, in seguito acquistò una forte qualità come giornalismo d’inchiesta e di analisi sociologica in un contesto di cultura cattolica avanzata e profondamente imbevuta di temi sociali” (F. Monteforte - Editoria Cultura e Società, volume II, pag 283, Banca Popolare di Sondrio). Agli inizi degli anni ‘90, la caduta del Muro di Berlino, la trasformazione del sistema elettorale in senso maggioritario, la crisi economica e politica che sfociò nel fenomeno di “Tangentopoli”, portarono ad una frammentazione del quadro politico italiano che segnò anche la fine della stampa di partito. Il Corriere sospese le sue pubblicazioni nel 1994 in seguito alla scomposizione del sistema politico nazionale più in generale e della DC in particolare. Dopo alcuni anni di “sonno giuridico” ha ripreso le pubblicazioni, nel 2001 come mensile e poi quadrimestrale di politica, cultura e informazione, espressione, più in generale, della politica dell’Ulivo guidato da Romano Prodi. Da questo numero, il giornale, adeguandosi ai tempi, uscirà anche online sul sito www.corrieredellavaltellina.com.

Le ragioni che ci spingono verso questa decisione sono diverse: è l’unico organo di stampa della provincia che tocca ormai i due secoli, ancora in vita. Perché lasciarlo morire? Certo, temi, tempi e mezzi sono profondamente cambiati. Il giornale è uno strumento, sono la nostra volontà e capacità di esprimerli e raccontarli che è messa alla prova. In tempi aridi come questi, che hanno celebrato la morte delle ideologie come una liberazione, ci chiediamo che cosa sia rimasto al loro posto. Di certo sono aumentati la paura, l’insicurezza, il terrore di perdere i risparmi di una vita, l’incapacità di far fronte ad un esodo epocale in atto da parte dei poveri del mondo, una crescente indifferenza, se non l’odio, verso la politica, uno straparlare di merito che si combina poi con piccole mance a tutti, un navigare a vista, un iperfamilismo. Una buona scuola avrebbe potuto, ad esempio, prevedere un abbassamento delle tasse universitarie per i meritevoli, visto che i nostri laureati sono la metà di quelli europei, invece di elargizioni a pioggia a diciottenni né bisognosi né interessati. Noi condividiamo il linguaggio della speranza che infonde ottimismo ai cittadini se, accanto a questo, c’è un linguaggio di verità. Il solo che consente di capire, conoscere, riparare. Spargere ottimismo inteso come lifting su una nazione insicura, non sarà sufficiente se non sarà riconosciuta la necessità di una svolta etica, dai vertici fino a ciascuno di noi. Questa sarà la nostra linea.

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