Il Bail-In o salvataggio interno

Cambiamento epocale nel rapporto banche-risparmiatori-investitori

L'anno appena iniziato ci ha spinto, con forza prima poco avvertita o sottovalutata, a dover fare i conti anche con il nostro risparmio.

Ecco, se c'è un indice per capire come si é ribaltato il mondo questo lo è certamente. Infatti, accanto allo scarso o nullo rendimento che il nostro denaro depositato nelle banche produce da tempo, causa la crisi finanziaria che ha travolto l'Europa dal 2008, oggi, se la nostra banca fallisce o entra in sofferenza come si suol dire, anche noi in qualità di risparmiatori/investitori dobbiamo concorrere a salvarla secondo una gerarchia che esclude ambiti precisi, ben evidenziati dai media e dai siti delle banche, secondo il principio che chi investe in strumenti finanziari più rischiosi e dunque teoricamente più remunerativi deve sostenere prima e più degli altri le eventuali perdite del suo istituto.

È il famoso BAIL-IN o salvataggio interno salito agli onori della popolarità dopo il dissesto di banca Etruria, Marche, Chieti e Ferrara che ha occupato per molti giorni i media con le sue implicanze politiche ed economiche. Perplessità, preoccupazione, se non paura si sono diffuse anche tra la gente della nostra provincia e alcune domande sono diventate ineludibili: che cosa sta succedendo nel mondo bancario in generale, a che punto è la riforma delle Popolari che riguarda anche i nostri due istituti di credito e quanto siano solidi.

Il BAIL-IN ci riguarda?

La sua applicazione è sicuramente un fatto nuovo nella storia bancaria italiana.

Fino a poco tempo fa sarebbe intervenuto lo Stato a salvare le banche in difficoltà non i risparmiatori. Ora non è più possibile, sia per il nostro enorme debito pubblico, sia perché vietato da norme europee recepite dal governo Italiano. L’Unione Europea ha applicato questo principio attraverso l'Unione Bancaria che prevede una Vigilanza unica, una gestione unica delle crisi e un'assicurazione unica dei depositi bancari. In sostanza: regole uniche e unica autorità di vigilanza, unico soggetto che stabilisce le regole e unico soggetto che le controlla. La direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche (attenzione non più salvataggio ma risoluzione) è stata approvata dal Parlamento europeo e c'è da chiedersi dove erano quei parlamentari europei che oggi gridano contro questo provvedimento. Entrato in vigore il primo gennaio 2015 in molti stati europei è stato recepito dal nostro governo nel novembre scorso ed ha costituito il quadro di riferimento giuridico per l'intervento nei confronti delle quattro citate banche che rischiavano, con il loro dissesto, di minare l'intero sistema bancario italiano. In ogni caso sorgono spontanee alcune osservazioni:

• se lo stato di sofferenza di questi istituti era noto da tempo perché gli organi di vigilanza è il governo, così normalmente prodigo di comunicazioni, hanno taciuto sperando che i problemi si risolvessero da soli e possibilmente in silenzio?

• e poi, perché applicare la retroattività su prodotti finanziari acquistati tempo addietro quando le prospettive di quelle banche erano forse diverse?

Applicare alle banche una pura logica d'impresa, come ora la legge prevede, può creare nei cittadini conseguenze pericolose: sfiducia, paura, sensazione spiacevole, data la complessità delle norme, di poter essere facilmente raggirati. Inoltre non va dimenticato che la banca è dotata di propri organi (la cosiddetta Governance): consiglio, assemblea, revisori, con compiti precisi, a volte scandalosamente retribuiti. Come questa vicenda e altre precedenti evidenziano, è spesso la catena di comando e di controllo interno alle banche che si è mostrata marcia, accanto agli innegabili elementi di difficoltà esterna. Se il cittadino risparmiatore è giustamente preoccupato, ora che le norme europee hanno gettato luce in questa notte in cui tutte le banche non sono più bigie come potrà distinguere, diciamo, quelle buone da quelle da evitare?

Un discrimine sta nella loro capitalizzazione, nella quantità del loro capitale, dei loro propri fondi. Una banca non può lavorare senza capitali e quanti più ne ha, maggiore è la garanzia per i suoi depositanti.

Ascoltando l’intervista di fine anno dell'amministratore delegato del Credito Miro Fiordi e leggendo la consueta lettera inviata dalla dirigenza della Popolare ai propri soci si può dedurre che le nostre banche sono ben capitalizzate. Si può dunque stare tranquilli (sereni meglio di no). L'ipotesi BAIL-IN appare molto remota.

Per quanto riguarda la trasformazione delle nostre Popolari in SPA, poche notizie si hanno a lavori in corso.

Entro ottobre dovrebbero essere convocate le assemblee decisive per il loro nuovo assetto che, a quel punto, potrebbe diventare la precondizione per una loro possibile fusione.

Fusione da alcuni auspicata e da molti temuta per i risvolti negativi che già da ora è possibile intravvedere. Comporterebbe infatti una drastica riduzione di lavoro e lavoratori sia interno che dell’indotto. Se in un paese, come accade oggi ci sono due filiali bancarie, appare ovvio che ne resti una sola. Sono poi ipotizzabili 80 sportelli di una nostra sola banca, ad esempio, nella città di Milano? Per i clienti è inoltre pensabile una riduzione del fido complessivo, senza contare il danno per gli azionisti delle due banche che vedrebbero le loro azioni altamente deprezzate. In una provincia come la nostra, dove i due istituti già gestiscono quasi il 90% del credito locale, non ci sarebbe più alcun respiro per un minimo di concorrenza e il monopolio risulterebbe schiacciante. Saranno in grado, istituzioni politiche, soggetti economici e sociali, le banche stesse di non farsi e farci troppo male?

Lorenza Copes